venerdì 26 novembre 2010

Zaebos, un viaggio negli inferi degli angeli




Qui gli angeli sono sbronzi, fanno sesso con il diavolo e la sua combriccola e non c'è verso che l'Onnipotente e i suoi seguaci riescano a mettere apposto il bordello creato da John Zorn e i suoi suonatori fidati, ovvero Medesky, Martin e Wood. Anche se per chi non pratica la musica contemporanea jazz, anche se qui il jazz conta quanto Franceschini nel Pd, questo trio di squinternati geniali composisuonatori potrebbe ricordare per il nome che ha, più la linea anti Vitton, il che sarebbe anche ora, perché hanno decisamente fracassato le palle queste LV sparpagliate su tutte le borse delle ganze donne che si sparano le pose plastiche agli aperitivi Buddhabareschi. Tornando al trio Medesky-Martin-Wood, se volete dimenticare per un momento la munnezza di Napoli, il Bunga bunga del nostro Premier, e lo sfacelo del nostro paese ormai alla frutta, inserite questo disco nel lettore cd, mettetevi le cuffie così la vostra vicina vecchia suocera non vi frantumerà le palle per il volume alto e fatevi trasportare dai suoni criptici yiddish composti per loro dalla mente malata del genio Zorn. Entrerete nel tunnel della perversione. Assaporerete il sangue dell'anticristo mangiando l'ostia sacra, scaverete nel vostro subconscio cercando quelle radici che vi legano a quei suoni che scivolano nei vostri timpani. Perché questa musica ha la matrice orientale, è sudata, fradicia di credenze e religioni che ci hanno passeggiato sopra. Zorn l'ha lavata, l'ha portata nel nostro mondo come una sacra sindone indemoniata e per questo fa parte della nostra storia, della nostra vita. L'hammond e il pianoforte di Medesky, il basso di Wood e la batteria di Martin si impossesseranno nel vostro corpo come angeli Zaebos, custodi della biblioteca dell'inferno.
Poi saranno cazzi vostri tornare alla realtà a musica finita con l'assordante televisione di vostra suocera che con la voce della Barbara D'urso vi sfonderà le pareti di casa.

martedì 23 novembre 2010

La giungla di Nneka




Antilopi e giaguari smettono di giocare a nascondino quando sentono la sua voce. Come una dea tribale, affonda la sua chioma di ricci ribelli nella terra africana e canta con la stessa potenza del vento nell'oceano. Nneka oltre ad essere di una bellezza devastante ha nel cuore la storia del continente di Fela Kuti e nelle vene le stelle a strisce del continente americano. Nata in Nigeria e poi sbattuta come una trottola ad Amburgo, la ricciola nera come una Mafalda incazzata ha cominciato a sviluppare ritmi hippoppiani mescolati al funky settantino. Concrete Jungle è un puzzle di 3000 pezzi che neanche la Ravenburger riuscirebbe a ricreare. In questo album c'è la polvere e il sudore di un continente spremuto dai padroni della terra, che da secoli sfruttano con l'ipocrisia sparata sui sorrisi Colgate il territorio come fosse loro. In questo disco trovate l'essenza e la dignità di un intero continente che alla faccia del nostro capitalismo sfrenato, riesce con l'umanità del ballo mescolato al dolore salvifico dei milioni di schiavi sottopagati dalle multinazionali, a farvi riflettere quanto sia idiota il nostro sistema sociale. Nneka come un'amazzone raccoglie il canto di quanti non hanno voce per urlare al mondo che l'Africa è il cuore pulsante del pianeta. Di certo non è l'abum che troverete sugli scaffali della sede principale della Lega Nord e sicuramente il Trota e suo padre preferisono alla giovane cantante Nneka un bel disco celtico della bassa padania, magari scritto a due mani e mezzo cervello da Borghezio e Gentilini. Ovviamente non è nemmeno l'album preferito da Maroni, troppo intento non solo a buttare fuori ogni forma estranea dal nostro paese, ma deciso a lottare contro la 'ndrangheta del Sud, anche perché quella del Nord è mafia padana, e Maroni sostiene che la mafia senza accento del Sud non può definirsi tale, capito mi hai? Nneka non conosce le nostre tristezze legaliste e continua, per nostra fortuna, a innalzare canti di rabbia pacifista.

sabato 20 novembre 2010

Finalmente la Banda Olifante




Come fanno ad entrare in una 500 una Banda di Olifanti? Semplice, i fiati davanti e le percussioni dietro. Questi ragazzi sono una Banda organizzata. Tranquilli, non sparano a nessuno ma vi sradicano i piedi da terra, vi frullano nel mix della loro musica balcanicapopolaritalicaromanticfunky. C'avete capito qualcosa? Provo a spiegarmi con parole semplici, onorando l'italiano come Luca Giurato quando non parla. Allora, la Banda Olifante è ciò che vorreste avere al vostro matrimonio o al funerale di vostra suocera. Sempre di festa si tratta no? A colpi di proboscide vi staneranno dal letto, ancora dormienti e in ritardo per la funzione, lanciandovi come pupazzi fabbricati in Cina sui sedili posteriori della mitica 500, quella vecchia, non quella dell'ad Fiat col golfino che oggi brinda al successo della nuova. Ancora traballanti, infiocchettati come una caramella Condorelli, arriverete dopo la sposa e prima del funerale. Indecisi sul da farsi la Banda organizzata Olifante comincerà a suonare una melodia funebre ma non troppo, a ritmo di sette ottavi. Gli ottoni tirano spallate alle percussioni, che a loro volta accidentalmente sbattono contro di voi , che a vostra volta come funamboli in equilibrio precario, col mutuo al collo, raggiungete la dama bianca e annoiata all'altare. Promettete la solenne fiducia nell'eternità di un amore senza fine domandandovi come mai stiate baciando il bassotubista e non la vostra futura moglie. Bene e anche questa è fatta, ora tutti alla trattoria da Gino con la Banda Olifante che lancia nell'aria ritmi tzigani e giostre di note appese a quell'elefante che vi aspetta fuori dalla chiesa, regalo di nozze di questi scalmanati musicisti.

giovedì 18 novembre 2010

La gioiosa malinconia di Sibylle Baier




Se cercate musica per pogare non avvicinatevi a questo disco, potreste trovarvi stramazzati in mezzo al corridoio di casa, presi da una soporifera cantilena. Idem se volete fare colpo sulla ragazza che ama le varie amorosoferreri di turno, meglio vi procuriate un cd della giovane Noemi, e mentre lei spalanca gli occhi alla vista del vostro dono altamente culturale, provate anche a farle spalancare le gambe. Si sa mai, che intenta a leggere i complicati e difficili testi della cantautrice, alla fine ve la dia per 20,90 euro spesi alla Fnac di turno. Se invece cercate qualcosa di malinconico al punto giusto, cogliendo l'occasione per fare riunione condominiale con tutti i tristi della terra, beh Sibylle Baier fa al caso vostro. Questa tedesca ha registrato le canzoni di Colour Green, uscito nel 2006, agli inizi del 1970. Quando si dice prendersela comoda. Come se io adesso scrivessi un romanzo e lo pubblicassi tra quarant'anni. Anzi, mi sa che lo faccio. Fatto sta che queste songs hanno riposato in botti di palissandro, e oggi il loro sapore è leggermente bariccato. Come il vino, si bevono piano piano, facendole riposare prima nel decanter della vostra anima. Calma, non fatevi strani viaggi, non avete di fronte Vashti Bunyan, ma ci andiamo vicini. La bella Baier canta e suona una chitarra classica, manca solo il suono del crepìtio del camino acceso e poi siete pronti per bervi quel whishy che è almeno due mesi che sta a marcire nella vostra credenza. Quindi, senza tanti fronzoli, entrate in soggiorno con la vostra malinconia a braccetto, accendetevi un bel cubano, inserite il cd nel lettore, se avete il vinile siete da Oscar, e adagiatevi come tassi fissi sulla vecchia poltrona della nonna. La neve fuori intanto scioglie i rumori molesti. Buon ascolto nella vostra malinconica gioiosa tristezza.

lunedì 15 novembre 2010

Il Club delle banane di Beck




Come una scimmia del Guadalupe, afferra banane artpopiane e sbalza sul cestello della vostra biancheria con la faccia di colui che ha capito tutto dalla vita. Beck è così. Ragazzetto che si diverte a manipolare e storpiare non solo la propria musica, buttando nel frullatore ogni genere esistente sul suolo terrestre, ma non pago dei cocktail che ha già preparato per i suoi fans, si lancia in operazioni di sabotaggio su canzoni divenute pietre miliari del passato Novecento. Quindi si è inventato un gioco, il Record Club, ovvero invitare a casa gli amici cari e strombazzare come solo dio sa fare, la miscela di note che confluiscono negli spartiti di grandi cantautori e gruppi che hanno fatto la storia del rock. Tranquilli potete benissimo continuare a lavare i piatti senza avere sbalzi sussultori causa assonanze troppo grevi da parte del nostro giovane Beck, che riprendendo il cd simbolo della banana di Warhol dei Velvet Underground, ha combinato su un casino così grande che rimarrete talmente soddisfatti del suo lavoro, che prenderete gli stessi piatti lavati, li lancerete dalla finestra, con grande gioia dei passanti sottostanti e vi spargerete il corpo di Nutella cantando Sunday Mornig. Evitate accuratamente di farvi vedere per strada poi per la settimana successiva, ma so già che non ve ne fregherà un emerito cazzo di questo consiglio, perché per smuovervi dalle casse che continuano a fuoriuscire songs beckivelvetundergroundiane, dovranno venire i pompieri con tutte le forze dell’ordine. Vi ritroveranno in versione banana split, dondolante come Tarzan, senza più voce. Vostra moglie chiederà il divorzio, vi farete un po’ di carcere, ma quello che conta è che possiate portavi in cuffia la nuova versione di Heroin, perché come diceva quel filosofo tedesco, “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” e voi di morale non avete neanche più il ricordo, ma continuate a domandarvi perché il cielo sia cosparso del frutto Warholiano. Beck vi cambierà la vita. Accettate il rischio?